Ryan Gander, Imagineering, 2013. HD video, Color, Sound (English spoken) Duration 68 seconds Edition of 3 (+ 1 A.P.) Stills: Courtesy the artist and gb agency, Paris

AL CENTRO PECCI IL MUSEO È UN GIARDINO

Fino al 24 luglio al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato,

Il giardino dell’arte. Opere, collezioni

a cura del direttore Stefano Collicelli Cagol,

paragona il museo a un giardino,

sottolineando la capacità dell’arte di essere elemento essenziale

per la vita di una comunità.

In questi ultimi giorni di apertura dell’esposizione vi offriamo la lettura

che ne hanno dato Federico Giannini, Direttore di Finestre sull’Arte,

ed Elena Inchingolo storica dell’arte e curatrice indipendente.

Il giardino dell’arte

di Federico Giannini

La retorica della guerra usata negli ultimi due anni riecheggia in un’opera storica di Alighiero Boetti che fa i conti con il ready made e l’idea di mimesis attraverso la riproposizione di un telo mimetico semplicemente intelaiato“. Il visitatore che a Prato s’avvia alla conclusione della bella mostra Il giardino dell’arte, la prima del Centro Pecci diretto da Stefano Collicelli Cagol, leggendo il materiale illustrativo del percorso si trova dinnanzi a queste parole che dànno conto della presenza di un Camouflage di Boetti a un paio di sale dall’uscita. Un “giardino” per affermare l’importanza dell’arte come momento di confronto anche nei periodi più difficili. Ecco allora quel Mimetico come spunto per ragionare su questi due anni di pandemia, posto a fianco dei poster di Sara Leghissa che contengono un mesto florilegio di pensieri di adolescenti costretti loro malgrado all’isolamento forzato e a far esperienza della demenziale, lugubre, delirante retorica bellica che ci è stata propinata fin da quando la malattia ha fatto la sua comparsa alle nostre latitudini.

Adesso però l’atroce follia della guerra è arrivata per davvero, quella nefasta retorica è tornata a infestare un dibattito pubblico che s’è fatto ancor più deprimente, il dissenso è ancor più difficile da trovare e da esprimere. E quel Mimetico che ci accompagna verso la fine della mostra assume un significato ancor più amaro. L’arte dovrebbe spronarci alla discussione, al dialogo. Ma è ancora così? Boetti aveva compiuto un gesto colmo di significato, anche politico: aveva preso il tessuto mimetico delle divise dei militari italiani della Seconda guerra mondiale e l’aveva trasformato in un pezzo d’arte, con una mossa, se vogliamo anche sovversiva, che cambiava del tutto la natura dell’oggetto di partenza. E ammantando financo il suo gesto d’ulteriore ironia, nel momento in cui metteva in discussione l’arte intesa come mímesis… con un tessuto mimetico. Jean-Christophe Ammann, che di Boetti ha curato il catalogo generale, ha ben rimarcato la presenza d’una coscienza politica tangibile nell’opera del conte torinese. Per tutta la sua esistenza, Boetti avrebbe continuato a guardare al mondo spinto da quella coscienza che animava la sua poesia e che lo rendeva un artista “politico”, volendo banalizzare, pur senza essere un artista engagé. Il Camouflage è del 1967, degli anni della contestazione. L’anno dopo gli artisti avrebbero ribaltato la Biennale di Venezia. Alcuni anche letteralmente: Ferroni lasciò le sue opere al rovescio per tutta la durata della mostra internazionale. Oggi ci sono ancora artisti che hanno la stessa coscienza di Boetti? Ci sono ancora artisti in grado di contestare in modo credibile le istituzioni? Oppure sono condannati all’irrilevanza?

Visioni museologiche contemporanee: l’arte come dispositivo di relazione e inclusività

di Elena Inchingolo

Pubblicato da Adelphi esce in Italia, nel 2012, il libro La Storia del mondo in 100 oggetti, già celebre trasmissione radiofonica della BBC. Si tratta di una sorta di “museo portatile” da percorrere attraverso una selezione di oggetti custoditi nell’immensa collezione del British Museum di Londra e descritti dalla voce narrante di Neil MacGregor, allora direttore del grande museo britannico. Si sottolinea così il ruolo del museo nel raccontare la storia in senso più ampio, mediante le storie degli “oggetti-opere” che conserva. Queste narrazioni, particolari e personali, contribuiscono ad evidenziare aspetti controversi e nascosti della Storia ufficiale e rendono gli oggetti strumenti relazionali, “che un giorno diranno chi siamo alle generazioni future”.* Tale concezione si presenta come soluzione museologica innovativa, spunto nell’attivazione di rapporti sinergici tra collezioni e istituzioni, nell’intento di interpretare la tradizione attraverso una visione contemporanea, democratica ed inclusiva, volta a utilizzare l’arte come dispositivo di relazione e conoscenza. In particolare, le nuove strategie di audience development sottolineano l’importanza dell’accessibilità museale attraverso il coinvolgimento attivo del pubblico.

È l’International Council of Museums – ICOM, che a partire dal 1977, promuove l’International Museum Day – IMD, celebrato ogni anno il 18 maggio, in tutto il mondo, per stimolare le coscienze dei cittadini sull’importanza dei musei nello sviluppo della società. In questa occasione, negli anni, sono state individuate a livello internazionale azioni concrete e puntuali, mediante le quali organizzare la programmazione museale: progettare un tour di visita che possa “raccontare una storia” al visitatore; sviluppare attraverso la struttura museale e le sue collezioni un dialogo intergenerazionale; permettere al pubblico di fruire del patrimonio attraverso accorgimenti innovativi; fare rete, sviluppare cioè la collaborazione tra le strutture culturali.

L’inclusione è infatti il principio guida al di là dei confini geografici o delle “barriere” economiche così come il dialogo tra le precedenti e le nuove generazioni che l’ICOM incoraggia, incentivando negli spazi museali attività legate alla formazione, alla democrazia, all’educazione. L’International Museum Day 2022 ha approfondito il tema The Power of Museums e sottolineato proprio il “potere” che i musei possiedono nel trasformare il mondo che ci circonda: in quanto luoghi di scoperta incomparabili, essi creano connessioni con il nostro passato e aprono la nostra mente a scenari inediti per la costruzione di un futuro migliore. Ed è proprio nel solco di tali prospettive museologiche che è possibile inserire il nuovo corso del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, guidato dal neodirettore Stefano Collicelli Cagol, con un programma caratterizzato dalla valorizzazione del patrimonio museale, con progettualità dedicate alla collezione permanente e all’archivio, dalla promozione delle relazioni con il territorio, da proposte di grandi artisti internazionali, dall’interesse alla ricerca e all’accessibilità di pubblici differenti.

Lo scorso marzo si è inaugurata la prima mostra a cura di Collicelli Cagol, Il giardino dell’arte. Opere, collezioni. Il museo e il giardino sono qui intesi non solo come luoghi di cura e ristoro, ma anche come spazi “della meraviglia” in cui immergersi per apprezzare la bellezza dell’arte e della natura, sottolineando così il ruolo dell’arte come elemento essenziale per la crescita di una comunità.

Il giardino nell’arte può richiamare un luogo sottratto al mondo, un rifugio segreto, uno spazio ideale di piacere, un’evasione dai tormenti della vita, che si placano a contatto con la natura, spesso trasformata dall’uomo a sua immagine, quasi un riflesso della cultura del suo tempo con i suoi limiti, le sue trasgressioni, i suoi sogni. Questa proposta espositiva vuole suscitare domande, fornire prospettive, evidenziare l’importanza delle collezioni private poste in dialogo con patrimoni e spazi pubblici e richiamare l’attenzione del fruitore su opere capaci di narrare la contemporaneità e le sue complessità.

Accanto a lavori della Collezione del Centro Pecci come Structural Psychodrama #3 (2017) di Monica Bonvicini e Il libro (1998) di Pedro Cabrita Reis si giustappongono, nelle dieci sale dell’ala storica del museo, provenienti da collezioni private, installazioni, sculture, fotografie e dipinti di artiste e artisti italiani e internazionali di generazioni diverse come, tra gli altri, Nan Goldin, Roni Horn, Marisa Merz, Carol Rama e Sara Leghissa o Alberto Savinio, Osvaldo Licini, Alighiero Boetti, Alberto Burri, Philippe Parreno e Ryan Gander.

Connettore di espressioni artistiche eterogenee, diacroniche e meta-estetiche, il museo è, sempre più, spazio “politico”, di incontro, dialogo e analisi delle urgenze socioculturali del nostro tempo. Il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, con la sua vocazione interdisciplinare e inclusiva e secondo la nuova programmazione culturale, si candida ad esserne un virtuoso esempio.

* Neil MacGregor, A History of the World in 100 Objects, Penguin, London 2011, trad. it. di M. Sartori, La Storia del mondo in 100 oggetti, Adelphi, Milano 2012, p. 660